Nel pieno del ciclone di Tangentopoli, con la politica sotto assedio della magistratura e con il debito pubblico italiano che esplodeva lungo tutti gli anni 80 arrivando a toccare il 120% del Pil, ecco che lira e sterlina finirono sotto l’attacco dei mercati. Nella storia dell'economia europea il “mercoledì nero” fu una repentina svalutazione della lira italiana e della sterlina britannica avvenuta mercoledì 16 settembre 1992 a causa di una fuga di capitali da entrambi i Paesi.
Per effetto di tale svalutazione, entrambe le valute dovettero temporaneamente uscire dal sistema monetario europeo (SME) perché incapaci di mantenere il proprio tasso di cambio sopra la soglia minima di fluttuazione richiesta alle banche centrali affiliate allo stesso SME.
Per quanto riguarda l'Italia, la lira, indebolita dalle pesanti politiche assistenzialistiche a debito intraprese nei decenni precedenti, subì una svalutazione di circa il 7% mentre la Borsa di Milano perse un valore stimato di 6700 miliardi di lire (3,35 miliardi di euro) nella sola giornata del 16 settembre.
Nella vicenda fu molto attivo il finanziere Usa George Soros, che operò attraverso vendite allo scoperto sia della lira e della sterlina, che obbligarono le banche centrali dei due Paesi a intervenire a sostegno della valuta dando fondo alle proprie riserve di valuta estera, prima della capitolazione.
Pochi mesi prima, in luglio, il governo presieduto da Giuliano Amato aveva operato un prelievo forzoso del 6 per mille sui depositi bancari che non ha precedenti nella storia repubblicana.