È il 23 giugno del 2000 quando muore, a 93 anni, Enrico Cuccia, per oltre mezzo secolo vero e proprio dominus del sistema finanziario italiano con la sua Mediobanca. Cuccia trasformò radicalmente l’istituto fin dal primo dopoguerra impostando lo sviluppo dell'istituto secondo modalità differenti da quelle concepite dal suo ideatore Mattioli, che pensava Mediobanca come un finanziatore a medio termine della ricostruzione economica italiana, e ne privilegiò la funzione di banca d'affari. Un gruppo ristretto di privati (tra cui Pirelli e la banca francese Lazard) entrò nel capitale della banca, sottoscrivendo un patto di sindacato rimasto segreto fino al 1985, che dava uguale peso di voto al 57% detenuto dalle tre banche pubbliche e al 6% detenuto dai privati. Sotto la guida di Cuccia, Mediobanca si trovò pivot di un intreccio di partecipazioni cruciali: La Fondiaria, Generali, Sai, Pirelli, Fiat, Montedison, Olivetti, Mondadori, Gemina, Ferruzzi Finanziaria, Italmobiliare, Cofide.
Da questa posizione svolse un ruolo centrale, fatto di finanziamenti e advisory, nelle operazioni relative ai principali gruppi italiani: la fusione fra Montecatini e Edison (1966), l'ingresso della banca libica Lafico nell'azionariato Fiat (1976), gli accordi tra Pirelli e Dunlop. L'uscita dei libici dalla Fiat danneggiò nel 1986 alcune importanti banche internazionali, causando un significativo crollo di Borsa, così come lo provocò anche il riassetto di Ferruzzi, indebitata dopo la scalata Montedison, nel 1988. Nel 1985 l'Iri non rinnovò a Cuccia il mandato quale suo rappresentante nel consiglio di Mediobanca: mantenne però il suo posto in cda quale rappresentante del socio privato Lazard.
Nel 1988 venne nominato presidente d’onore. Dell’abile tessitore di una serie di intrecci tra banca e grandi famiglie del capitalismo italiano resterà una delle sue frasi, che più di altre definiva la sua filosofia del cosiddetto capitalismo di relazione: “le azioni si pesano, non si contano”.