A inizio del 2003 scomparve Giovanni Agnelli e poco più di un anno dopo anche Umberto. La casata torinese entrò nella fase più difficile, sia per il cambio generazionale, con il delfino designato da Giovanni in John Elkann, sia della tenuta dei conti. Che erano prossimi al collasso. Nella competizione internazionale Fiat faticava. E del resto lo stesso Giovanni Agnelli fu profetico: il mercato globale dell’auto, disse a più riprese, sarà fatto da 4-5 grandi gruppi, non di più. Occorreva massa critica sufficiente per affrontare il futuro e Fiat pareva fuori dai giochi. I conti traballavano. Dal 1996 i profitti di Fiat erano calati fortemente mentre i debiti finanziari al contrario salivano. Alla guida del gruppo, chiamato dagli Agnelli, c’è dal 1997 Paolo Fresco, manager di alto standing proveniente dall’americana General Electric.
A lui gli Agnelli affidarono le sorti di Fiat e soprattutto la ricerca di quell’alleanza internazionale che mancava a Fiat. Fresco individuò in General Motors il partner ideale. Nel luglio del 2000 firmò il cosiddetto Master Agreement con la casa americana che prevedeva uno scambio azionario.
GM rilevò il 20% di Fiat Auto, mentre Fiat acquisì poco più del 5% del capitale del colosso Usa. L’accordo prevedeva anche una put option, un diritto di opzione per cedere il restante 80% di Fiat a General Motors, nel periodo tra il 24 gennaio 2004 (termine poi spostato al 2 febbraio 2005) e il 23 luglio 2009 (24 luglio 2010). L'accordo fu salutato dalla stampa internazionale come «una svolta per l'Auto europea» e una «mega-alleanza». E fu proprio quella put, anni dopo sotto la gestione Marchionne, a rivelarsi come vedremo un grande affare per Fiat.