Paradossalmente, la crisi dei mutui subprime nata in America produsse i suoi effetti più devastanti in Europa, dove la necessità di salvare le banche mise a dura prova i conti pubblici di molti Paesi europei. In particolare, Grecia, Spagna, Italia con rapporti di debito/pil strutturalmente elevati. La recessione innescata dalla crisi finanziaria provocò in Italia una contrazione del Pil, già nel 2009, vicina al 5%, una delle più gravi recessioni dal dopoguerra. A ingigantire la crisi fu la Grecia che rivelò a ottobre del 2009 un dissesto dei conti pubblici ben più ampio di quello comunicato finora pubblicamente. Si parlò di artifici contabili tenuti in piedi per anni addirittura per consentire l’ingresso nell’euro. Partì ovviamente un clima di sfiducia nella tenuta dei conti pubblici che si allargò ad altri Paesi.
Nel maggio del 2010 i paesi dell'Eurozona e il Fmi approvarono un prestito di salvataggio per la Grecia di 110 miliardi. A novembre scoppiò la crisi del sistema bancario irlandese: il Governatore della banca centrale rivelò che le perdite delle banche nazionali ammontavano a 85 miliardi di euro (il 55% del Pil irlandese). Venne approvato a livello europeo un piano di sostegno per 85 miliardi. Nel maggio del 2011 Ue, Bce e Fmi (la cosiddetta Troika) concessero un prestito di 78 miliardi anche al Governo portoghese. Le misure di austerity finirono per aggravare la recessione. Le banche in crisi conobbero un credit crunch e nel 2011 la crisi si estese all’Italia, con lo spread sui titoli di Stato che salì fino a superare i 570 punti, il 9 novembre del 2011. La Bce con una lettera ufficiale chiese al governo Berlusconi interventi urgenti a fronteggiare la crisi di fiducia dei mercati finanziari. Il presidente del Consiglio, che aveva minimizzato la portata della crisi di fiducia, fu costretto a dimettersi a metà novembre del 2011, spalancando la porta a un governo tecnico presieduto da Mario Monti.